Sebbene in generale non esista una ricetta universale per ottenere un espresso “perfetto”, è accettato ed evidente che alcune tazze riescono meglio di altre. Da cosa dipende la qualità di un espresso? È possibile misurare le caratteristiche di un espresso in modo da caratterizzarlo quantitativamente e renderlo replicabile, alla stregua della ricetta del tiramisù?
In questo articolo, e nei successivi appartenenti a questa serie, vogliamo riportare i punti chiave della teoria di estrazione dell’espresso per rispondere alle domande precedenti.
In generale un buon espresso specialty deriva dal raggiungimento di un sottile equilibrio tra un grandissimo numero di elementi, tra cui tipo di caffè, il profilo di tostatura e le preferenze personali. È stato tuttavia dimostrato a partire dagli anni ’50, che vi sono alcune ben identificate dimensioni misurabili dell’espresso (*) che, in funzione del valore che assumono, possono renderlo gradito o meno alla gran parte dei consumatori. Tali dimensioni sono intensità (**) ed estrazione.
Ma cosa sono esattamente intensità ed estrazione? Vediamo di cosa si tratta.
L’intensità (strength) di un espresso è qualitativamente associata ad aspetti quali “corpo”, “densità”, “robustezza” ed altri. Un caffè molto “intenso” è generalmente cremoso e liquoroso, con sapore deciso e tanto corpo, anche se non necessariamente di gusto gradevole. Un caffè poco intenso è più annacquato e fluido, con meno corpo e con un sapore più tenue e meno deciso, anche se non necessariamente sgradevole.
L’intensità di un espresso è fisicamente determinata dalla quantità di solidi rispetto alla quantità d’acqua, ovvero dalla massa di solidi disciolti in tazza come percentuale della massa liquida totale in tazza. L’intensità è quindi determinata quando si conoscano quantità di solidi disciolti (TDS – Total Dissolved Solids) e peso dell’espresso in tazza.
Il peso dell’espresso in tazza si può quantificare molto facilmente utilizzando una semplice bilancia tarata. I TDS si possono misurare con sufficiente precisione utilizzando un rifrattometro, uno strumento essenziale anche se non propriamente economico al cui utilizzo dedicheremo un futuro articolo su questo blog.
Data una certa quantità d’acqua, un espresso più intenso ha una maggiore quantità di solidi disciolti rispetto ad un espresso meno intenso. In altre parole, si ha un espresso intenso quando, utilizzando poca acqua si riescono a trasferire in tazza molti solidi. Se vogliamo, l’intensità è una misura di efficienza del processo di produzione dell’espresso.
Ma come finiscono i solidi nella tazza? I solidi sono trasportati dall’acqua che, spinta dalla pressione della pompa della macchina espresso attraverso la mattonella di caffè (la dose), incorpora durante l’erogazione alcuni componenti solubili trasportandoli nella tazza sottostante.
I composti che vengono disciolti variano considerevolmente per natura, quantità e caratteristiche nel corso dell’erogazione. Il processo di tostatura del caffè infatti produce una varietà enorme di composti aromatici (ne sono stati identificati oltre 800) principalmente a causa di continue reazioni di riduzione non enzimatica degli amminoacidi (reazioni di Maillard).
Non appena l’acqua inizia a percolare attraverso la dose, i componenti più facilmente solubili sono immediatamente catturati e trasportati. Tra questi vi sono vari tipi di acidi per lo più piacevoli, che donano il caratteristico sapore fruttato al caffè. Ancor prima, sono disciolti tutti i composti salini, che vengono subito trasportati in tazza.
La solubilizzazione di tali composti si esaurisce nel giro di pochi secondi, e la loro concentrazione nell’acqua che scende dal portafiltro diminuisce di istante in istante. Ad essi si si sovrappongono, fino a prendere completamente il sopravvento, altri componenti ad inferiore solubilità.
Ad esempio, la quasi totalità degli zuccheri viene caramelizzata nella fase finale di tostatura. In funzione del grado di tostatura, la loro estrazione determina il sapore dal dolce all’amaro (nel caso di tostatura scura, laddove gli zuccheri caramelizzati entrano in pirolisi).
Nel caso si prosegua ulteriormente con l’estrazione, saranno i polifenoli e la caffeina tra gli ultimi a dissolversi in acqua e ad essere trascinati in tazza. Essi danno sapore amaro e astringente, coprendo e sovrastando gli zuccheri. Ecco perché un caffè molto forte potrebbe non essere necessariamente piacevole: dipende da quali specifici solidi l’acqua si è “tirata dietro”.
A presto con il secondo articolo di questa serie!
(*) In realtà quanto verrà detto è applicabile in modo pressoché identico a qualsiasi tipo di estrazione
(**) Personalmente preferisco utilizzare intensità anziché forza. Nell'ambito di questa serie di articoli quindi intensità sta ad indicare la percentuale di TDS in tazza (strength in inglese). De gustibus non disputandum est.